Vino nell'Antico Egitto

Vino e Antico Egitto: come vinificavano al tempo dei faraoni

Nell’Antico Egitto, ossia nella terra del Nilo, ci sono testimonianze di una tradizione molto antica legata alla coltura del vino e al consumo di questa pregiata bevanda alcolica, che sarà poi destinata a diventare quella più conosciuta al mondo. Le prove più antiche che testimoniano la coltivazione delle viti in Egitto fanno riferimento agli inizi della storia di questo Paese cominciata millenni fa, quando non c’era ancora un solo sovrano e la cultura dei faraoni muoveva i suoi primi passi. Le prime tracce che sono state rilevate fanno riferimento ai semi di vitis vinifera risalenti al 2900 a.C., nel corso del periodo predinastico di Naqada III, i quali sono custoditi nel Museo dell’Orto Botanico di Berlino. Questo rappresenta il primo passo verso una cultura faraonica la cui storia si interseca con quella delle viti, che rappresentano una pianta dai frutti gustosi e dal sapore fine, adatta non solo alla produzione del vino ma anche per ornamento di pergolati nei giardini. 

Forse immaginare l’Egitto come uno dei paesi più antichi che produce vino può sembrare strano, ma invece ci sono innumerevoli prove che confermano non solo la sua produzione ma anche il consumo della bevanda forse più diffusa al mondo. Quindi i primi reperti giungono direttamente dalle tombe dei faraoni che riportavano dal 2700 a.C. le pitture e i bassorilievi raffiguranti queste piante. Attraverso la rilevazione e l’analisi di queste iscrizioni si è delineato quanto fosse importante il vino nello sviluppo della storia egiziana, quali tecniche venivano usate per la produzione e che significato aveva una bevanda come questa per coloro che abitavano sulle rive del Nilo. 

Il vino ai tempi della cultura Egiziana 

Questa bevanda a quell’epoca si contraddistingueva per delle caratteristiche religiose. Il popolo dell’Antico Egitto come altre culture e tradizioni antiche, basava le sue credenze sul concetto dell’esistenza di una vita dopo la morte. Infatti, nelle tombe dei persone che morivano di solito si ponevano oggetti, tra cui cibo e bevande, per affrontare il passaggio all’altra vita, e tra questi c’era anche il vino. Ci sono diversi Dei legati alla figura del vino, specialmente come simbolo di pace. Addirittura sono stati rilevati dei dipinti dove vengono rappresentati il faraone o la regina che offrono due coppe di vino agli Dei per stabilire la pace tra l’essere umano e le divinità. Sicuramente il vino incarnava il tipo di bevanda che veniva gustata dalla classe dei nobili, perché era prestigiosa e più costosa rispetto alla birra. I faraoni la preferivano in assoluto, infatti nelle loro tombe, come in quella ad esempio di Tutankhamon, sono state spesso trovate delle anfore o delle pitture che rappresentano i momenti riferiti alla realizzazione del vino. 

Tecniche di produzione del vino nell’Antico Egitto

Gli antichi Egiziani sono stati tra i primi ad utilizzare i graticci per alzare le piante, cioè si tratta di attrezzature più alte della loro statura utili a tagliare i grappoli d’uva che scendevano lungo i pergolati. I grappoli una volta tagliati venivano posti nelle ceste per essere trasportati per la spremitura, la quale veniva eseguita in grandi vasche sollevate. Si raccoglieva poi il mosto mentre si intonavano canti particolari, principalmente indirizzati alla Dea del raccolto. Al di sopra della vasca c’era un bastone al quale erano appesi dei pezzi di corda che venivano utilizzati da coloro che spremevano per potersi mantenere e sorreggere in maniera tale da evitare di cadere o perdere l’equilibrio. Il mosto, successivamente, veniva schiacciato in un contenitore molto grande tra due bastoni. Gli addetti alla pressa giravano i bastoni in senso orario da un estremo e in senso antiorario dall’altra parte. Il succo ricavato a volte era di colore rosso più scuro, altre volte di tonalità rosa chiaro, quindi gli egiziani facevano sia il vino rosso tannico che quello rosato. 

La fermentazione iniziale si faceva nelle giare aperte, mentre la seconda nelle anfore con il tappo sigillato. Nel sigillo, però, c’era un forellino che consentiva la fuga del diossido di carbonio, in modo che la giara non rischiasse di esplodere. Il foro si sigillava non appena terminava la fermentazione. Le anfore erano particolari perché avevano due manici sulla parte superiore e il fondo a punta, così si sistemavano più facilmente nei letti di sabbia. Non appena il punto nella sabbia era inumidito si rimuovevano e si spostavano. C’è addirittura una raffigurazione murale che rappresenta alcuni operai che sistemano le anfore all’interno di una cassa di sabbia. Il raffreddamento dell’acqua nella sabbia umida porta all’evaporazione e di conseguenza al raffreddamento del vino stesso. In questo modo la fermentazione fredda rendeva migliore anche il sapore del vino che diventava più fruttato. Questo potrebbe essere considerato come il primo frigorifero inventato, per l’appunto dagli egiziani. Addirittura nella tomba del faraone Tutankhamun, o meglio in una tomba collegata ad essa, fu trovata una cella di conservazione per il vino con all’interno ventisei anfore sigillate. Purtroppo, però questi contenitori non erano di vetro e quindi i liquidi piano piano si infiltravano nelle pareti spugnose della giara e si perdevano. 

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